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Il Blog di Giampaolo Di Marco

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Postilla » Diritto » Il Blog di Giampaolo Di Marco » Diritto civile » Conciliare… l’inconciliabile: certezza del diritto e tempi della giustizia

22 febbraio 2010

Conciliare… l’inconciliabile: certezza del diritto e tempi della giustizia

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Alla fine è stata approvata. Il Consiglio dei Ministri ha licenziato nei giorni scorsi un importante provvedimento che, senza troppi giri di parole, potrebbe cambiare in parte il volto della giustizia civile italiana, nonché alcune professioni, in primis quella forense.

Ci riferiamo alla conciliazione, istituto vecchio, ma recentemente riscoperto dopo il quasi totale fallimento dei Giudici di Pace, delle sezioni stralcio e dei tentativi obbligatori di conciliazione in alcuni settori al fine di ridurre il carico della Giustizia civile italiana.

L’obiettivo è un milione di cause in  meno, ma ovviamente in questa fase i  numeri ottimistici cercano solo di annebbiare le polemiche dei professionisti interessati dall’intervento, avvocati e dottori commercialisti.

Va segnalato, tuttavia, che l’esercizio della professione forense sta diventando sempre più incerta, soggetta a repentini cambiamenti delle regole che la governano, processuali e sostanziali, costringendo l’Avvocato ad una navigazione a vista, lontano da seri e approfonditi studi sugli istituti, con i quali ogni giorno è portato a misurarsi, avvicinandolo ad un metodo della professione a “spot”, immerso in notizie della ultima ora.

Riservando una lettura più approfondita del provvedimento, è opportuno segnalare quali siano gli aspetti più discutibili del provvedimento.

In primo luogo, la totale esclusione dal tentativo di conciliazione, facoltativo prima e obbligatorio poi, del settore più naturale che avrebbe potuto giovarsi di questo istituto: i consumatori. Le materie che più da vicino lo interessano, quali la vendita di beni di consumo e i pacchetti turistici, non risultano inserite tra quelli per i quali è prevista l’applicazione dell’istituto.

Diversamente, risultano inserite materie quali quelle afferenti alle successioni ereditarie che per antonomasia sono inconciliabili, visto che i contendenti spesso non promuovono cause per vere e proprie lesioni dei propri diritti, ma più per ripicche e cattivi rapporti con i propri familiari.

Ancora, la processualizzazione della conciliazione e la sua eccessiva professionalizzazione, dimenticando che nella conciliazione il conciliatore “non parla o applica diritto”, ma tende a favorire l’incontro dei reciproci interessi che non è detto che trovino rispondenza in una disposizione normativa. È come quando si indice una causa per “una questione di principio”, senza interrogarsi se quel principio trovi spazio nel nostro ordinamento giuridico o quanto meno sia socialmente condivisibile.

Pertanto, sarebbe un errore ritenere che il conciliatore debba avere una solida conoscenza di diritto per poter essere chiamato a svolgere tale funzione.

Insomma, bisognerà vigilare attentamente sulla crescita di questo istituto per evitare che finisca nelle mani sbagliate, tese solo ad aumentare le proprie posizioni professionali piuttosto che a sviluppare, tramite la conciliazione, una rinnovata, seria e intelligente funzione sociale;  che il cittadino si trovi a dover conciliare “solo per paura” dei tempi lunghi della Giustizia in quanto equivarrebbe ad un’abdicazione dello Stato.

Va ricordato che l’importanza della conciliazione non deriva solo dall’inefficienza della giurisdizione ordinaria e dalla sua obsolescenza, ma anche da un diverso sistema di affrontare la controversia, civile, commerciale, di lavoro e in alcuni casi anche penale.

Tuttavia, i recenti interventi legislativi, in particolare quello di cui all’art. 60 della L. 69 del 2009, sembrerebbero snaturare la snellezza dell’istituto e, più in generale, delle forme di risoluzione alternative delle controversie. Si assiste, infatti, all’appropriazione della gestione dei filtri conciliativi da parte di alcune categorie di professionisti, i quali da scettici utilizzatori di uno strumento a detta loro poco remunerativo, si apprestano a creare camere di conciliazione presso ogni ordine.

Il loro interessamento verso le forme di risoluzione alternative delle controversie è certamente pregevole, ma sarà necessario evitare che un istituto snello e facilmente accessibile come la conciliazione non si trasformi nel nuovo “arbitrato” del popolo.

L’avvocato, ma in genere tutte i professionisti che vivono da vicino le conflittualità collettive, renderebbe così un servizio di alta civiltà giuridica.

Tuttavia, all’eccesso di processo non deve seguire l’eccesso di conciliazione, stante anche il delicato problema che, attorno a tale istituto occorre ancora costruire garanzie legislative, relative ai soggetti che gestiranno la conciliazione, evitando speculazioni e accaparramenti delle procedure.

Nell’ottica di uno sviluppo delle conciliazioni ex lege, è agevole prevedere il ruolo fondamentale dell’avvocato in termini di crescita della propria professionalità e di recupero di alcuni tratti salienti della sua professione, quali la maggiore capacità di previsione dell’esito della lite, maggiore conoscenza della giurisprudenza di legittimità ed in particolare di merito, meglio ancora se locale.

Soprattutto, però, dovrà recuperare quella visione globale della propria professione capace di suggerire al proprio assistito la possibilità di conciliare la controversia attraverso nuovi strumenti di risoluzione dei contenziosi (art. 40 c.d.f.), in tal modo permettendo di fugare il dubbio principale di quei professionisti che non ricorrono alla conciliazione nel timore di esigui guadagni determinati dallo scarso e veloce lavoro.

Si riuscirà, quindi, a “conciliare” la certezza del diritto con la celerità (e serietà) della risposta di giustizia che il cittadino si attende?

Letture: 10260 | Commenti: 3 |
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3 Commenti a “Conciliare… l’inconciliabile: certezza del diritto e tempi della giustizia”

  1. AVV. MARIA PAOLA ROSAPEPE scrive:
    Scritto il 24-2-2010 alle ore 12:12

    Complimenti! Analisi lucida, esaustiva e condivisibile.

  2. Patrizia Villa scrive:
    Scritto il 25-3-2010 alle ore 14:18

    Gentile Gianpaolo Di Marco,
    mi permetto di intervenire nella questione relativa alla c.d. figura del mediatore nell’ambito del nuovo procedimento di conciliazione stragiudiziale , anche se non sono un avvocato.

    In realtà mi sto interessando alla questione e al suo ambito formativo poichè in qualità di C.T.U. (architetto nella fattispecie) mi sono trovata più volte a dover affrontare il c.d. tentativo di conciliazione , come richiesto dal Giudice Istruttore…….non riuscendo, in realtà, a “sfangare” le criticità che le stesse vertenze esprimevano, pur provvedendo , nel rispetto del contraddittorio , a prospettare ai tecnici di parte le rispettive “lacune” per indurre gli stessi a considerare un punto di incontro.

    Avendo di recente partecipato ad una delle iniziative promosse presso l’aula Magna del Tribunale di Milano sulla figura del mediatore , mi sono accorta che per addivenire ad una probabile conciliazione delle parti si deve fare tutto il contrario di quello che non solo i tecnici ma anche gli avvocati sono abituati a fare.

    Infatti noi professionisti siamo deputati ed abituati da sempre a fornire soluzioni e a dare risposte (possibilmente verosimili) ma ,nessuno, è ancora abituato a partire da un’ottica come dire “ribaltata” rispetto al tertium non datur.

    Ciò che viene evidenziato in questo caso è invece la ricerca (seppur più complessa ) di una terza possibilità, quest’ultima “creata” dalle parti in conflitto e solo , se stimolata dal mediatore che necessariamente deve aver acquisito gli adeguati strumenti.

    Uno degli elementi fondamentali per intraprendere questa strada è l’ascolto dei rispettivi bisogni/aspettative delle parti dai quali può emergere la terza o anche quarta o quinta (:-)) possibilità. Dunque intervenire nel conflitto “congelando” l’oggetto dello stesso e lavorando su ciò che non si vede ma che si può scoprire.

    Sicuramente sarebbe opportuno per noi addentrarci in questa esperienza per certi versi innovativa , ancorchè non priva dei rischi da lei ben evidenziati,anche per formare i giovani , attuali e futuri professionisti che , privi delle “sovrastrutture” a noi proprie, sono certamente terreno fertile e ricettivo delle trasformazioni della nostra società.

  3. Giampaolo Di Marco scrive:
    Scritto il 25-3-2010 alle ore 16:16

    Gent.mo Arch.,
    Le criticità da Lei evidenziate costituiscono il primo vero limite della conciliazione introdotta di recente, ove non si spieghi agli operatori e fruitori della conciliazione che cosa è e come si svolge la conciliazione. Effettivamente, quando le parti si incontrano per “conciliare”, il soggetto conciliatore (o mediatore) deve condurre l’incontro spostando l’attenzione delle parti dal diritto loro vantato all’interesse effettivo che loro intendono raggiungere mediante l’esercizio del diritto. Mi spiego: se Tizio compra un’auto per andare in vacanza e questa non gli viene consegnata in tempo sarà certamente leso il diritto di credito derivante dal contratto, ma l’interesse potrebbe essere comunque soddisfatto (in via conciliativa) ove la concessionaria gli consegni un’auto sostitutiva nell’attesa che arrivi la Sua. Molto spesso, invece, le parti si concentrano sui loro diritti perdendo di vista gli interessi, con la conseguenza che la mancata consegna dell’auto comporterà due controversie: una con il concessionario ed una con il tour operetor per il viaggio.
    La strada da Lei indicata è sicuramente la migliore. Buon lavoro

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  • class action, conciliazione, consumatori, giustizia amministrativa, Giustizia civile italiana, successioni ereditarie
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